domenica 26 agosto 2012

Il vittimismo: chi nasce Calimero e diventa tiranno (tratto da Riza Psicosomatica)

Sentirsi bersaglio costante di sfortune e ingiustizie è un alibi: un atteggiamento che altera la personalità e fa danni alla salute ma da cui ci si può liberare

Calimero

La vita a volte colpisce duro. A ognuno di noi è capitato, e non solo da piccolo, di sentirsi vittima, cioè bersaglio finale di comportamenti aggressivi, di circostanze negative, di intenti manipolatori, e di aver sentito un profondo senso di ingiustizia e di prevaricazione. Qualcosa o qualcuno ci ha spinti nell’angolo, almeno per un po’, e ci ha fatto dire: "Perché proprio io?". È un’esperienza così diffusa e connaturata all’uomo che negli anni ’70 decretò – e decreta ancor oggi – l’enorme successo di un cartone animato nato senza grandi pretese: Calimero, il pulcino “piccolo e nero” con un guscio per cappello, che alla fine di ogni avventura si ritrova solo e sconsolato, incompreso, bersaglio di sfortune e ingiustizie. Ma ciò che gli accade sembra quasi catalizzato dal suo modo di considerarsi: appunto piccolo (cioè indifeso e bisognoso) e nero (cioè sfortunato e meno dotato).

I sensi di colpa

La sindrome di Calimero è sinonimo di vittimismo, cioè quell’atteggiamento psichico per il quale la persona si sente vittima delle trame avverse degli altri e del destino. “Tutte a me capitano; sempre io ci vado di mezzo; lo sapevo che alla fine era colpa mia; pago sempre io per tutti”: ecco le sue frasi tipiche. A volte basta una critica su un punto fragile, una discussione dai toni un po’ freddi, una battuta ironica che colpisce nel segno, alcune avversità ravvicinate, o anche solo un malinteso. Subito si sente ferita, tradita, non amata, ma anche colpevole, responsabile, inadeguata, sfortunata. E se gli si dice “non fare la vittima”, lo fa ancor di più. Diffuso ben più di quanto pensiamo, il vittimismo esprime un modo immaturo, per lo più inconscio, di vivere le relazioni e di affrontare la realtà. Esso si innesca quando la persona sente di non poter sostenere il confronto in modo paritario. Proclamandosi vittima invece può ottenere molti vantaggi: indulgenza, ascolto, affetto, protezione. E se l’altro è uno che si sente facilmente in colpa, può dominarne le scelte e tenerlo letteralmente sotto scacco, anche per una vita. È così che la vittima a volte diventa il vero tiranno. Ma in tutti i casi il vittimismo non paga e va superato: non si può stare nella vita adulta con i meccanismi tipici della prima infanzia..

Le cause del vittimismo

- Modalità apprese da un genitore.

- Aver subito violenza fisica o psicologica da piccoli.

- Essere stati trascurati dalla famiglia di origine.

Quando diventa una strategia

La vittima fa sentire gli altri sempre in colpa e così può ottenere da loro ascolto, indulgenza, protezione, arrivando a tiranneggiarli.

Prendere coscienza della situazione

Per chi fa la vittima:

- Affronta l’insicurezza.

Non permettere che la tua storia ti beffi due volte. Osservati: comprendi che il personaggio della vittima a tutt’oggi non ti ha mai reso felice e che non potrà farti superare il vecchio (eventuale) trauma.

- Sperimenta l’adulto in te.

Fai una prova. Quando sta per innescarsi il bimbo-vittima, fingi di fare l’adulto, di essere sicuro di te. Prendi coscienza delle tue responsabilità. Non puoi imputarle sempre agli altri o al destino.

Per chi gli sta accanto:

- Elimina il senso di colpa.

Il vittimismo altrui può agire su di te solo perché ti senti subito in colpa o ti immedesimi troppo, forse in seguito a un vissuto sofferto. Prendi coscienza del perché sei così sensibile al tema dei “più deboli”.

- Aiuta la vittima a crescere.

Se vuoi davvero bene a chi sta facendo la vittima, non accondiscendere. Offrigli un comportamento fermo e adulto, che sappia estrarre da lui modalità di relazione più mature e complesse.

2 commenti:

  1. Non è facile liberarsi dal vittimismo, conosco una persona che per carità è sempre colpa degli altri...anche di fronte all'evidenza.

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  2. Si Gianna, ne conosco anch'io e a volte ci casco pure, ma l'importante è reagire.

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